domenica 7 aprile 2013

[Giappone] Harajuku 2010


 Del giorno che sono andata ad Harajuku, nella Takeshita Dori, ricordo nettamente due cose: che mi ero svegliata d'umore I Do What I Want e che una volta là in mezzo il mio self-control in materia d'acquisto andò a dormire per tornare a galla solo verso sera, come in preda a un inquietante jet lag.
Per quelli che li hanno letti, nei post su Lucca Comics avevo parlato della Frenesia che mi ha preso in mezzo agli stand degli editori: ho cominciato a vedere le chilate di roba in vendita in anteprima e alla fine sembravo una trottola impazzita.
Risultato: sono uscita con lo zaino zeppo e a mente fredda, dopo essermi calmata, anche la consapevolezza di aver speso 20 euro più di quanto avevo preventivato. Contando che dovevo ancora fare il giro dello zona con il materiale originale, finì con l'imbarazzante scena della sottoscritta che si aggrappava alla C. chiedendole mezzo disperata di prestarle venti euro se ne avesse avuto bisogno per comprare Qualcosa Che Troverò Solo Qui E Poi Mai Più (la C. promise di sì e mi calmai, anche se
poi i soldi che mi erano rimasti bastarono per il mio SaltyDog nuovo).

Ecco, ad Harajuku successe la stessa cosa, solo che si parlava di vestiti e di cifre più alte. No, non vi dirò qual'è stata La Cazzata, ma giuro che è stata l'unica volta in vita mia che sono andata fuori di testa e ho comprato un indumento costoso peraltro immettibile per la maggior parte dell'anno.
Quest'anno ho tutta l'intenzione di evitare un bis è_______è



 Comunque, tornando ad Harajuku: la Takeshita Dori è una via del quartiere zeppa zeppissima di negozi d'abbligliamento particolare e spesso delizioso, più bazar vari di oggetti e oggettini e bar/venditori di crepes/un gigantesco McDonald verso la fine, dove consumai una brava merenda/pre-cena.

Negozi decisamente a piani.
Come ho detto lì trovate negozi di marche giapponesi che da noi sono ci si possono procurare quasi esclusivamente su Internet (so che esistono anche dei negozi specializzati sparsi nelle grandi città dello Stivale, ma per quel che ne so sono decisamente un'eccezione): è vero che in Italia un vestitone Lolita pieno di pizzi e trine potete metterlo senza essere trattati come strambi essere potenzialmente pericolosi (o, più prosaicamente, senza essere sfottuti a morte) solo a fiere del fumetto o eventi cosplay organizzati... MA! vestitini semplicemente peculiari, gonnelline, magliette, giacchini, scarpe particolari... tutte queste cose, anche se diverse dal solito, se abbinate a indumenti più "normali" probabilmente vi regaleranno mise splendide, colorate e carine da morire - a patto che abbiate passato il periodo in cui o vi vestite secondo i dettami della vostra classe/scuola o venite perseguitate allo sfinimento, ovvio.



Omotesando a Natale 2011
Nel 2010 comunque sono abbastanza sicura di aver visitato il 99% dei negozi di vestiti (nuovi e usati) della Takeshita Dori, e il risultato fu che uscii di lì con gli occhi che tra un po' spruzzavano arcobaleni per via di tutti quei colori, l'acquisto esagerato di cui parlavo prima e nient'altro.

Ero mezza rintronata, avevo quasi comprato una gonnellina corta colorata come andava di moda in quel momento (tipo due mesi dopo le avrebbero cominciate a vendere anche in Italia) ma avevo lasciato perdere all'ultimo perché non ero convinta.


Poi, ovviamente, svoltai l'angolo a sinistra della Takeshita Dori, entrai in quella che stando a Internet è la via Omotesando e trovai LaForet.



Questo posto è stato una specie di rivelazione. Piani e piani di negozi, ognuno di una diversa marca  giapponese famosa o popolare (o anche internazionale, ma spesso con articoli che personalmente non ho mai visto in Italia nei negozi con quel brand, cosa che mi fa pensare ci fossero capi destinati solo al mercato giapponese), gli occhi che s'incrociavano per riuscire a vedere tutto e l'improvvisa convinzione che mangiare non è poi così fondamentale, vuoi mettere una stupida cena con #cosachehaiappenavistoeimprovvisamentevuoiconognicelluladitestessa?

Sono uscita di lì con alcuni dei miei indumenti che amo di più in assoluto, e la sapete qual è la cosa assurda? Io non sono una fissata con i vestiti. TUTT'ALTRO.
Giusto per farvi...
Sento da qui i vostri Allora non voglio immaginare come la prendevi se eri una fissata di shopping.

Ecco, appunto. Fate conto che io non ho MAI voglia di andare a comprarmi pantaloni e odio, odio, odio cercare scarpe. Mi viene male solo all'idea.
Però ho il problema del ma è bellissimo/adorabile: quando sono per i fatti miei, a fare tutt'altro, e vedo certe magliette, maglioni, giacchini, vestitini, raramente pantaloni, ancora più raramente gonnelline... mi scoppia un fuoco d'artificio nel cervello.
 
... UN'IDEA.
Il fatto è che certi capi d'abbigliamento raccontano una storia: non sono anonimi, non sono solo una cosa che serve per forza di cose, comunicano un'idea e se quella è proprio l'idea che vorresti esprimere tu, allora mi sembra ovvio che una maglia non è più solo una roba che deve coprirti e farti star comoda.


Vi faccio un esempio, okay?

Momento dei cavoli di Mel

Quando ero in quarta ginnasio tutte le ragazze della classe (e anche molte di altri classi) che allora erano "quelle simpatiche e che spiccavano", e non ancora le signorine da viale stronzette e malelingue che sarebbero diventate entro un anno scarso, indossavano una felpa con la zip che andava di moda allora. Era disponibile in due o tre colori e c'erano sulla schiena tre personaggi della Disney tra cui potevi scegliere.
Era una felpa bellissima, carinissima e sbrilluccicosa senza assolutamente finire nel trash, di un tessuto ottimo e che teneva caldo. Ma era di marca "alta" (anche se penso di non aver mai capito quale, non era quello che m'importava) e costava abbastanza.

Io avevo quattordici anni, mi ero integrata bene in classe e dissi a mia madre che alcune delle mie compagne avevano questa fantastica felpa della Disney e che sarebbe piaciuta tanto anche a me, ma costava un po', e il negozio dove parte di loro l'aveva comprata (tipica piccola boutique con gli articoli scelti con estrema attenzione) confermava la questione del prezzo.
Io un po' mi vergognavo a dirglielo, a mia mamma, e infatti avevo già deciso di non insistere assolutamente se avesse detto "vabbeh poi vediamo", ma lei mi disse okay.
Okay nel senso che pochi giorni dopo averglielo detto mi caricò in macchina, andammo al negozio, lei disse alla commessa cosa cercavo e quella, dopo aver sorriso e detto che infatti erano già passate altre ragazze con la mamma a prendere lo stesso tipo di felpa, mi fece vedere  tra quali potevo scegliere: m'innamorai subito di quella che pochi minuti dopo era nel suo bel sacchetto.

Una volta presa io e mamma tornammo alla macchina, io con le cordicelle del suddetto sacchetto ben strette in un mano, e mentre andavamo dissi una cosa tipo "Grazie, mamma". Volevo dirle quello che ho già detto qui, ma mi si bloccarono in gola le parole. Era come un grosso nodo proprio lì a metà, ma anche se non spiegai nulla di tutto quello che voleva dire quella felpa, che non era solo una felpa, era un simbolo, e io ci tenevo così tanto, dall'espressione tranquilla della mamma capii che lei lo sapeva.

Adesso quella felpa non mi sta più, sono sviluppata sul davanti e cresciuta in altezza, ma è ben piegata nel mio armadio e io le voglio un bene dell'anima.

Questo per dire che no, andare ad Harajuku o a LaForet e sentire una voglia pazza di comprare più roba di quella che servirebbe invece di dare quei soldi in beneficenza non è da stronze insensibili.
E' solo umano.

/fine momento dei cavoli di Mel

Tornando ad Harajuku: una particolarità dei negozi è che tantissimi sono uno sopra l'altro: come piccole casette impilate, collegate da scale esterne, con la differenza che invece di abitarci gente, dentro ci sono negozi.
Alcuni sono negozi di roba nuova, altri dell'"usato", nel senso tutto giapponese della parola: capi apparentemente intonsi che costano meno del prezzo di listino perché una ragazza prima di voi se li è messi qualche volta. Ci sono negozi con abiti interessanti e altri meno affascinanti, e anche le commesse passano dalle tipiche giapponesi gentilissime e servizievoli (tutte giovanissime o di poco più grandi), a quelle che "ma allora ci sono commesse stronze anche in Giappone!".
Dove con "commesse stronze" s'intende "commesse che non sopportano i gaijin (=stranieri)". Una mia compagna di viaggio appasionata di Gothic Lolita si innamorò di un negozio di abiti Lolita usati, ma quando disse di voler provare un vestito la commessa (che aveva già fatto una facciaccia appena eravamo entrati) fece di tutto per dissuarderla, affermando anche a gesti che non le sarebbe potuto entrare per una questione di misura. Il problema
dell'altezza non si poneva, perché questa mia compagna era alta quanto molte giapponesi, ma aveva un seno più abbondante della media giapponese.

Insomma, volle provarsi il vestito "per forza" e la commessa dovette cedere. Questo però non le impedì di fare una faccia scazzatissima e indisponente e DARLE UN SACCHETTO DA METTERSI IN TESTA perché non sporcasse il vestito mentre lo indossava con il trucco nero.
Finì che aveva ragione la commessa e il vestito non entrava per colpa del seno, ma decisamente c'è modo e modo di servire un cliente, e quello non era esattamente il modo più educato e auspicabile.
Detto questo, tale commessa era palesemente una delle pochissime eccezioni, perché per la maggior parte le commesse giapponesi sono la quintessenza della gentilezza ^^

Tutt'altra storia da LaForet: lì mi è capitato uno di quegli imbarazzanti momenti stile Due Culture Che Si Prendono A Pugni. Avevo comprato un vestito con la sua giacchetta in un negozio del primo piano, e prima misi d'istinto lo scontrino nel sacchetto, ritrovandomi con le due commesse messe a servirmi alla cassa che mi guardavano con due occhi così O.O, e risolvendola con una risatina a tre; poi il vero dramma (taradadan!): quando mi avviai fuori dal negozio mi seguirono entrambe e la direttrice (una signora vestita elegante e con un portamento che mi veniva da chiamarla "professoressa" e pregare che arrivasse qualcun altro e andasse a servirlo perché a me faceva soggezione) e quando uscii davvero si piegarono tutte e tre in un perfetto inchino a novanta gradi, che mantennero anche quando ormai stavo per svoltare l'angolo. Io continuavo a girarmi per controllare che avessero smesso, cosa che non successe finché non sparii e ogni volta mi ritrovavo a inchinarmi di nuovo verso di loro sentendomi in imbarazzo da morire e con l'orribile sensazione di essere una bianca schiavista sfruttatrice di povere commesse giapponesi.

Lo so che detta così sembra divertente (o delirante), ma vi assicuro che lì per lì non fu manco un po'.

Dopo comunque andai anche a un altro negozio del primo piano, e lì il comportamento della commessa era molto più in stile Occidentale. Mi provai una giacchina nera con la zip viola e il cappuccio con delle minuscole orecchie da gatto, oltre che le maniche rimuovibili (così diventava una giacca a nemmeno mezza manica, una figata), e la commessa continuava a girarmi intorno e sistemarmela (come farebbero molte commesse anche da noi, dai) ripetendo "so kawaii! Kawaii!!", e ci mettemmo anche a fare due chiacchere arrivate alla cassa.
A un negozietto di accessori per capelli una invece venne a portarmi un cestino tutto colorato e puccioso per tenere le mollette e le passate che avevo in mano.

Ecco, tutto questo al primo piano: salendo le scale o prendendo l'ascensore salgono anche i prezzi, e si arriva a quel genere di boutique che vendono solo abiti eleganti e non entri nemmeno nel loro
spazio perché sai già che comunque non compreresti nulla.
Ma anche così è una gioia per gli occhi: si tratta di quel genere di posto dove parole come resto del mondo, povertà e compagnia diventano concetti lontani e sfocati, e tutto sembra bello, allegro e colorato.


In generale a chiunque vada a Tokyo direi quindi di fare almeno un salto ad Harajuku, anche solo per vedere il famoso "ponte delle ragazze Cosplay" (che si trova vicinissimo alla stazione della metropolitana, mentre bisogna farsi una piccola camminatina per arrivare alla TD, assolutamente niente di trascendentale). Merita davvero e sicuramente è un posto unico al mondo ^_^

4 commenti:

  1. Quando sono stata in Giappone questo quartiere non l'ho visitato molto attentamente (avevo una lista di posti da vedere, di cose da fare e di imperdibili che non finiva più) ma devo dire che la tua descrizione è invoglia molto a farci un salto, anche solo per dare un'occhiata alle vetrine ^^

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  2. Andrò di corsa, l'unico problema è che l'amico che mi accompagna non mi lascerà fare shopping "vestiario"... Aaargh!! ç__ç

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    1. Che sfiga! ç_çComunque un'occhiata almeno così la dai, ti fai un'idea di qaunto sia particolare il posto! ^^ Poi se riesci a fregare l'amico per dieci minuti... 8D

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